Common Identity - New perspective
Knowledge, Conservation and Improvement of HAbitat RUpestrian MEditerranean
I ripari sotto roccia sono cavità naturali dall’ampia apertura ma di modesta profonditò, dovuti a sfaldamento della roccia di coste montuose a cause di frane o dell’erosione eolica. I ripari conservano ovunque antichissime tracce di antropizzazione, come il riparo Manisi, nella Gravina di Palagianello (Taranto) dove si è rinvenuta industria litica del Paleolitico Medio, costante che, con stratificazioni imponenti fino all’età del Bronzo o del Ferro, o addirittura del Medioevo, si ritrova nelle centinaia di ripari fin ora esplorati in Italia, dalle Alpi, agli Appennini, alle Isole.
Il riparo sotto roccia di Valtorta (Spagna) è forse il più noto fra i tanti luoghi di culto del Mesolitico in Spagna, dove nei ripari sotto roccia venivano dipinte scene con uomini e con uomini e animali e sono presenti importanti graffiti e incisioni. Questi ripari sono circa 120 e sono collocati tra gli 800 e i 1000 metri di quota e concentrati soprattutto nel Levante, dai Pirenei all’Andalusia.
Sovente i ripari sotto roccia sono stati adattati ad abitazione stabile, fino al Medioevo ed al post-medioevo, mediante la suddivisione dello spazio secondo esigenze funzionali, con l’erezione di muri a secco. Siccome negli ultimi secoli questi ripari sono stati adibiti a ricovero di bestiame, spesso vengono denominati da quest’uso: in Toscana, infatti, sono detti ‘caprili’. In Puglia fra gli ultimi ripari sotto roccia esplorati è la Grotta Parco della Vigna e della Breccia a Martina Franca (Ta). Si tratta di due ampi ripari che si aprono in alto sul ripido spalto orientale della gravina detta “Orimini inferiore” che incide per 3,3 chilometri il terrazzo collinare martinese degradante verso l’arco jonico. Le cavità sono prossime l’una all’altra ma separate da un prominente costone roccioso. La presenza in entrambe di una breccia ossifera (che affiora lungo i bordi delle pareti) e di un potente paleosuolo interno confermerebbero l’esistenza, in giacituta primaria, degli orizzonti preistorici di epoca neandertaliana. La parte antistante le cavità scende invece ripidamente verso il fondo della gravina ed è larga 70 metri e profonda 63. Su questa superficie, coperta da una coltre di terreno vegetale, si è conservato un’altro deposito preistorico, ma in giacitura secondaria. Là dove più forte è stata comunque l’azione erosiva delle acque alluvionali, i manufatti litici musteriani e quelli osteologici sono emersi in parte e si sono ammassati in piccole sacche rocciose del declivio, dove poi sono stati individuati a migliaia. Dall’esame della materia prima utilizzata per la fabbricazione degli strumenti litici, (effettuata su un campione di 2.119 reperti consegnati alla Soprintendenza Archeologica di Puglia c/o Museo di Egnazia), si è stabilito che l’80% è costituita da rocce sedimentarie ed eruttive che si distinguono per la loro grande compattezza e tenacia: ftanite grigio scura, diaspri vari, quarzite, quarzo-areniti, scisto, basalto olivinico, basalto e radiolarite. Queste abbondano infatti nell’area Calabro-Lucana. Proveniente dalla Puglia sembra invece la materia prima calcarea, dove si distingue quella prelevata dall’atelier paleolitico di Donna Lucrezia, affiorante tra Ceglie Messapica e Villa Castelli. Il restante 20% è in selce, quasi tutta di provenienza garganica.
Nelle gravine pugliesi l’esplorazione di alcuni ripari, come quello già citato Manisi nella Gravina di Palagianello, ha consentito di stabilire che l’uomo vi si era stabilito già più di 70.000 anni fa.